Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/14

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Premetto dunque che io odio sinceramente, accanitamente i Ganimedi, i Narcisi e tutti gli Arcadi passati, presenti e futuri; che i madrigali non mi hanno mai fatto nè caldo nè freddo.... se mai, più freddo che caldo; e che quindi le qualità belle e vere che esaltate nel vostro sesso non avrebbero ammiratrice più fervente di me; ma..... bisogna proprio essere uomini per non accorgersi della differenza immensa, spaventosa, lagrimevole che passa fra l’archetipo-uomo perdentesi oramai nelle brume dell’ignoto, e i suoi milioni d’esemplari sempre più degeneri, sempre più trascurati, sempre più capricciosamente modificati. Mi fate venire in mente, vedete, certi vecchi codici del trecento, nei quali, a furia d’essere copiati e ricopiati sulle copie, non ci si raccapezza più. Figuratevi: erano centinaia e centinaia di copisti press’a poco nell’ordine di un albero genealogico, e mentre un ramo si ricordava troppo del dialetto paesano, un altro ramo rinfronzoliva per migliorare, finchè arrivati a un passo duro postillavano tutti: Graecum est, non potest legi.

E per noi questo non sarebbe neanche il peggior male. Il peggior male è quello di conoscer la lingua, perchè allora si è obbligati ad accorgersi degli strafalcioni. E più vi scalmanate a descriverci l’uomo quale dovrebbe essere, più ci disgustate dell’uomo quale è.

Come!? L’uomo è più forte, più intelligente, più ardito, più prepotente, meno istintivo e più sensibile, — dite; e tengo a lasciarvi la piena responsabilità di questa corona di aggettivi: poi dobbiamo assistere tutti i giorni nelle gran scene dell’ambizione e dell’amore a vigliaccherie incredibili, a transazioni ignominiose, a cretinerie classiche, a pusillani-