Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/146

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ricordare o rimpiangere, non un passato, ma tutto il passato in astratto, tutta la sterminata immensità sbarrata dall’ieri inesorabilmente. Questo amore delle cose perdute, delle cose morte, sembra il più grande amore della sua vita, la sua idealità più gentile, il suo sogno più caro; è certo la nota fondamentale di tutta l’opera del giovine poeta, un ritornello triste, ma d’un incanto irresistibile. È il Giorgieri che parla per bocca del suo personaggio, qui:

«C’è, nel dire che una persona e un ricordo non tornerà più, qualche cosa di così acutamente dolente che riesce certe volte per fino a dolcezza. Non tornando più, quel ricordo o quella persona si manterranno sempre come noi li abbiamo nel cuore, puri, incontaminati, sereni.»

E ancora: «C’è, in questo ritorno dell’anima alle cose dilette e perdute, una tristezza così dolce che vince perfino il pensiero amaro della vanità del ritorno. Vivere o pensare di vivere non è la stessa cosa in fondo?»

E più in là: «Io sentivo in me come aperto un abisso dove sarebbero andati a finire tutti i desideri realizzati d’un giorno; io vedevo, io prevedevo la vanità e la meschinità delle cose desiderate, e pure il desiderio restava, reso anzi più acuto da quella grande idea della fine che passava dietro di lui.»

Infine questa riflessione così giusta e così sottile;

«Pare quasi che il rimpianto sparga sul cuore qualche cosa di così perfidamente dolce che ogni altra dolcezza non possa superarlo.»

Queste osservazioni penetranti e delicate che incontriamo quasi ad ogni pagina, fanno ai personaggi