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E in vetta al monte, dove più secreta
La foresta s’addensa e più severa,
Chiusa in angusto margine una spera
Di lucid’acqua ammaliata e cheta.

E solitaria, in mezzo al trasparente
Vetro dell’acqua, una bianca ninfea
Che nel riso del sol apresi ignuda;

Come un sogno d’amor vivo e fiorente
Che al radïar d’una superna idea
In sen di verginale alma si schiuda.


Avete assaporato, signorine, il sano odor dei pini, e l’incanto innocente di quelle acque, e il riso ingenuo di quella candida corolla e la forte purezza di quel sogno? Si? Ebbene, allora esultate; siete poetesse anche voi.

Ecco un altro sonetto più soggettivo. Quello era una perla questo un’opale. Due diversi candori, due diverse virtù.

NIRVANA

Un arcano baglior, vasto, uniforme,
Che tutto invade e pur non trova loco;
Un non so che di fulgido e di fioco,
Un non so che di tenue e d’enorme.

Un rotar, un fluir lento di forme
Che si van sfigurando a poco a poco.
Fuse e consunte in quel pallido foco,
Quasi una visïon d’uomo che dorme.

Sfuma la terra e si dilegua il cielo
Si confondono insiem l’imo, il superno,
L’oscurità, la luce, il foco, il gelo;

E in un mar senza fondo e senza sponde
Silenzioso, invariato, eterno,
L’anima si stempera e s’effonde.