Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/25

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sommariamente la storia di quella disgraziata campagna, permettendoci di penetrare con una rara verosimiglianza nell’ambiente dell’atroce dramma, direi nei cuori. I vecchi ricordano, i giovani respirano l’aria di un passato che evapora già nell’epopea, nella leggenda: tutti poi in quest’ora, in cui gli spiriti bellicosi sono anestetizzati, vogliono osservare riflessa l’immagine dello spaventoso fantasma già lontano.

L’immagine è orribile infatti. Ora, a mente fredda, pare impossibile di averlo potuto sopportare tanto tempo; pare impossibile che si avesse a tollerarlo ancora fra noi. È ancora e sempre la selvaggia moralità dell’opera zoliana, che par derivata dalle teorie di un certo filosofo vero o immaginario di cui parla in qualche luogo il Bourget, un filosofo che consigliava agli ammalati di qualche amorazzo dei sensi la cura d’un’osservazione all’ospedale delle infermità più schifose che affliggono il corpo umano. È il rudimentale rimedio degli antichi, che disgustavano dall’ubriachezza con l’esposizione dello schiavo ebro. Forse questo libro che mette la guerra come una condizione imposta dalla natura nell’eterna lotta d’ogni giorno; che la dice necessaria all’esistenza stessa delle nazioni; che la chiama la forza mantenuta e rinnovellata dall’azione, la vita rinascente sempre giovine dalla morte; questo libro popolato di larve e scritto da un romanziere è destinato alla gloria di essere un condottiero ideale della gran crociata bandita contro la guerra in nome della civiltà.

Non ci sarebbe troppo da stupirne. Alla foglia di rosa il vanto di far traboccare la coppa. Ognuno sa l’efficacia che ebbero nei nostri moti di libertà