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Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/259

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Un fremito d’orgoglio empiva i petti,
Ergea le bionde teste, e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli
Invocavano la Madre alma de’ cieli.
Con la man tesa il Console seguiva:

— Questo, a ’l nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che ne ’l popol sia,
A man levate il popol dicea: Sì.
E le rosse giovenche di su ’l prato
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodì.

Termino con un sonetto giovanile non molto conosciuto, credo. È classicamente severo, è mesto, eloquente. S’indirizza in fine alla giovinezza — così amo ripeterlo associandovi nel mio pensiero a una memoria cara mentre la vita che ancora per voi non è che un dolce ritmo di danza vi attira fuori dal mio verziere. Io ci rimango a far l’ortolana, faticosamente, placidamente:

Se affetto altro mortal per te si cura,
Spirto gentil cui diamo il rito pio,
Pon dal ciel mente a questa vita oscura
Che già ti piacque e al bel nido natìo.

Vedi la patria come sua sventura
Di tua candida vita il fato rio
Piangere, e ’l fior degli anni tuoi cui dura
Preme l’ombra di morte e il freddo oblìo.

Quindi ne impetra tu che a te simile
Dritta all’oprar, modesta alla parola,
Cresca la bella gioventù virìle:

E senta come a fatti egregi è scola
Anco una tomba cui pietà civile
E largo pianto popolar consola.