Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/65

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La scarsa falange dei felici per rinnovare in un diverso ambiente e colorire diversamente la propria felicità: la gran maggioranza dei malcontenti per l’illusione d’un sollievo alle noie, alle difficoltà quotidiane che aduggiano la vita più degli stessi grandi dolori; e finalmente lo stuolo numeroso degli afflitti che vogliono esser soli col loro martirio e Dio.

C’è chi sogna il mare ed il suo odor salso ritemprante, la sua sabbia fine e ardente in cui è così voluttuoso seppellirsi, i suoi cento aspetti di colori, la sua immensità ritmica e sonante. C’è chi aspira ai monti, alle stradicciuole petrose, ombreggiate dai castagni, al rezzo verde mattutino, fra cui mormora e scintilla un fonte salutare. Chi si slancia col pensiero ancor più in alto, sulle vette purissime soffuse di delicati riflessi d’aurora, dove solo gli abissi paiono vegliare insaziati e feroci. V’ha chi si contenta di meno: di una bianca casetta fra una distesa aromatica di fieno falciato; v’ha chi vorrebbe di più: una peregrinazione attraverso mari e paesi non veduti; c’è chi tende agli incanti un po’ mesti dei laghi; ci sono poi, finalmente, dei fortunati che hanno ancora qualche castello turrito, più o meno autentico, dove ritirarsi al fresco e annoiarsi, magari, un pochino, da castellani. Ma esiste pure un gran numero di persone per cui tutti questi paesaggi rimangono nella sfera durevole e insieme intangibile delle cose sognate. Quante! Tutti coloro per cui il problema non è di viver meglio, ma semplicemente e terribilmente di vivere. Coloro che s’agitano nella sfera del piccolo commercio, le famiglie di impiegati di quarto o quinto ordine che hanno per tutta rendita il magro stipendio; quelli che campano col piccolo provento d’un’industria o d’una scuola. Quan-