Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/82

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lare ambiguo, quel tacere significativo, quello spingere d’occhi che esprimeva non posso parlare,» era proprio quello che ci voleva in quel momento per conseguire il suo intento senza metterlo nell’imbarazzo di parlar chiaro — cosa, che con quel suo metodo doveva riuscirgli abbastanza difficile. Insomma, fece nè più nè meno del solito, e questo mi pare che vada d’accordo con le linee generali: la mancanza di coltura, di dottrina, d’ingegno, la sua sufficienza boriosa con cui si convinceva certo che se un individuo qualunque dava noia alla sua casa, quell’individuo era bell’e spacciato — si scacciava come una mosca importuna — motivo di sfratto che doveva solleticare la sua vanità più del racconto esplicito dell’intrigo di fra Cristoforo.

Inoltre, essendosi Attilio scaltramente indugiato sulla necessità di garantire l’onore del casato dalle ironie di quel frate che «trova maggior gusto a farla vedere a Rodrigo, appunto perchè questi ha un protettore naturale di tanta autorità come Vossignoria (il Conte Zio) e che egli se ne ride dei grandi e dei politici, e che il cordone di San Francesco tien legate anche le spade...», la boria spagnolesca del Conte Zio dovè sentirsi punta tanto sul vivo da queste parole ardimentose riferitegli, da fargli mettere subito in seconda riga la storiella scandalosa, salvo poi a servirsene come ausiliario, se il padre avesse negato o promesso vagamente ciò ch’egli chiedeva.

Ed ora mi parrebbe che si possa continuare a giudicare il Conte Zio per quello che è sempre stato — uno cioè che ha solamente la verniciatura del grand’uomo — per il barattolo vuoto, per lo spaccone che crede di acquistar credito — e lo acquista