Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/86

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Spero che avrete notato ch’io non ho parlato di toga, nè di cattedra, cose ch’io credo incompatibili con la natura femminile, almeno nelle razze latine. Io non ho perorato che per l’arte — tutta l’arte — e una sola scienza dove sono convinta che la donna può esplicare mirabilmente tutte le buone doti del suo sesso: la medicina. Del resto, biasimandola o encomiandola, lasciatele libero, pienamente, il campo d’azione: fate che non sia relegata accanto alle culle dei bimbi o alle poltrone dei vecchi, ma che vi rimanga lei per elezione, per scelta, e ci resterà, io sono sicura che ci resterà, finchè i vecchi e i bambini avranno bisogno di lei. E se non ci resterà, io preferisco saperla misericordiosamente china su un altro bambino malato, piuttosto che su di una tazza di thè in un salotto pieno di galanteria; io preferisco vederla strappata al focolare dall’arte o dalla scienza, piuttosto che dagli aridi ascetismi del monastero... Voi siete intelligente, non vi scandalizzerete, lo so.

Poi, ditemi, signora: credete che la donna ci perderebbe assai a mascolinizzarsi (come voi dite) un poco? Trovate voi che la donna del secolo decimonono sia arrivata a un punto tale di sprezzatura, di praticità, di aridezza, di pedanteria, da dover dirle: arrestati o la donna non ci sarà più!? Io veramente non me ne accorgo, e finchè una maggioranza femminile mi dà a meditare sulla causa dell’attività e della stanchezza delle loro giornate, e finchè veggo le mamme inculcare ai futuri legislatori, agli artisti futuri l’arte difficile del vestirsi elegantemente, mi pare che a quegli estremi siamo ancora lontani, e sopratutto mi pare per il bene