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176 | viaggio al centro della terra |
entro di me; il genio delle scoperte m’inspirava; dimenticavo il passato, disprezzavo l’avvenire. Non esisteva più nulla per me alta:superficie dello sferoide nel cui seno mi ero inabissato; nè città, nè campagne, nè Amburgo, nè Kònigstrasse, nè la mia povera Grailben la quale doveva credermi perduto per sempre nelle viscere della Terra.
«Ebbene, riprese mio zio, a colpi di zappa e di piccone:
apriamoci il passo, rovesciamo queste muraglie.
troppo duro per la zappa! esclamai.
— Allora il piccone! — È troppo lungo per il piccone!
— Ma...
— Ebbene la polvere, la mina! miniamo e facciamo saltare in aria l’ostacolo!
— La polvere!
— Sì, non si tratta che d’un frammento di roccia da spezzare.
— Hans, all’opera!» gridò mio zio.
L’Islandese tornò alla zattera e ritornò in breve con un piccone che gli servi per scavare un fornello di mina. Non era già lieve fatica; si trattava di fare un buco capace di contenere cinquanta libbre di polvere fulminante, a cui forza espansiva è quattro volte maggiore di quella della polvere da cannone.
Il mio spirito era straordinariamente commosso. Mentre Hans lavorava, io dava mano a mio zio per preparare una lunga miccia fatta con polvere bagnata e chiusa in un budello di tela.
«Passeremo! dicevo.
— Passeremo!» ripeteva mio zio.
Alla mezzanotte la nostra fatica di minatori fu condotta a termine.
La carica di cotone fulminante era seppellita nel fornello e la’ miccia scorrendo traverso la galleria veniva fino al di fuori. Una scintilla bastava oramai a porre in azione quel formidabile congegno.
«A domani,» disse il professore.
Dovetti rassegnarmi ad attendere ancora sei lunghe ore.