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114 logica trascendentale

dall’altra, bensì di opposizione logica, in quanto la sfera dell’uno esclude quella dell’altro; ma ne contiene altresì uno di comunanza, in quanto quelle proposizioni riunite insieme occupano tutta la sfera di quella tal conoscenza; e però contiene un rapporto fra le parti della sfera d’una conoscenza, giacchè la sfera di ogni parte serve di complemento a quella dell’altra per formare tutto l’insieme della conoscenza di cui è parola; per es., «il mondo esiste o per opera del cieco caso, o per interna necessità, o per una causa esterna». Ognuna di queste proposizioni contiene una parte della sfera della conoscenza possibile intorno all’esistenza di un mondo in generale, e tutte quante costituiscono la sfera totale. Escludere la conoscenza da una di queste sfere significa porla in una della rimanenti; e porla invece in una sola sfera, significa toglierla dalle altre. C’è dunque in un giudizio disgiuntivo una certa comunanza, che consiste nel fatto che le proposizioni, che lo costituiscono, si escludono vicendevolmente, ma, così facendo, determinano tuttavia nell’insieme la vera conoscenza, costituendo, prese tutte insieme, il contenuto totale di un’unica conoscenza data. E questo solo è ciò che io credo necessario di avvertire qui, per rispetto a quel che segue.

4. La modalità dei giudizi è una loro funzione tutta particolare, che ha questo carattere disgiuntivo: che non contribuisce per niente al contenuto del giudizio (giacchè, oltre la quantità, la qualità e la relazione, non c’è più altro che formi il contenuto del giudizio), ma tocca solo il valore della copula rispetto al pensiero in generale. Giudizi problematici son quelli, in cui l’affermare, o il negare, si ammette come semplicemente possibile (arbitrario); assertori, quelli in cui si considera come reale (vero); apodittici, quelli in cui si riguarda come necessario1. Così i due giudizi, il cui rapporto costituisce il



  1. Come se il pensiero fosse nel primo caso funzione dell’intelletto, nel secondo della facoltà di giudicare, nel terzo della ragione. Osservazione, che avrà in ciò che segue il suo chiarimento. (N. di K.)