Pagina:Klopstock - Il Messia, 1839.djvu/14

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di simili studj mal conveniva all’immaginosa fantasia ed al caldo sentire d’un animo come il suo, e que’ lavori, insieme alle sue prose, caddero presto in dimenticanza. Colpito nel 1802 da un colpo di apoplessia, strascinò la vita in mezzo ai dolori e alla melanconia che in lui destavano le calamità in cui le politiche circostanze avevano involta l’Alemagna. Però serbando intatto il vigor della mente, e pieno di religiosa rassegnazione, il 14 marzo 1803 trapassò, recitando i sublimi versi con cui nel canto XII della Messiade aveva descritta la morte del giusto, raffigurata nella morte di Maria sorella di Lazzaro.

Tutta la Germania pianse la morte del suo poeta come una calamità nazionale, e la pompa con cui vennero celebrati i suoi funerali, è prova che in tutte le classi nutrivasi per esso una venerazione quasi religiosa. La repubblica d’Amburgo, città dove Klopstock morì, e il Governo Danese della vicina Altona gareggiarono di zelo. Magistrati, nobili, commercianti, artisti, ed un’immensa folla accompagnarono il feretro, cui faceva ala una guardia d’onore di cento soldati a piedi e a cavallo, fino al villaggio di Oltensen, nel cui cimitero il 22 marzo venne deposta la spoglia del poeta vicino alla tomba della sua Meta, luogo da lui scelto, come dicemmo, fin da quando l’aveva molt’anni prima perduta.

«Federigo Amedeo Klopstock congiunse alle più alte facoltà dell’ingegno le più care e amabili doti del cuore. Egli conservò sempre intatta l’indipendenza e la franchezza del carattere, sempre costante la sincerità dell’affetto, nè mai bruciò l’incenso dell’adulazione innanzi a verun potente, nè mai corse dietro all’aura di verun favore. Sinceramente pio, e benevolo, affabile a tutti, candido, ingenuo, ei si compiacque sino agli ultimi suoi dì ne’ piaceri più semplici, e unì sempre una schietta soavità di modi alla più viva sensibilità. Pur ebbe anch’egli i suoi difetti, ma furono i difetti dei buoni, quei difetti, vogliam dire, che rivelano la fralezza umana, ma non annunziano un’indole superba nè un cuore corrotto».1

II

Che Klopstock, come pretendono alcuni critici, annoverar si debba, come lirico, fra i più grandi poeti d’ogni epoca, chiamandolo il Pindaro della poesia moderna, anzi superiore a questi per la profondità dell’invenzione e la spiritualità dei concetti, è lode troppo evidentemente esagerata perchè abbiasi a confutarla. Ma non è esagerata sentenza il collocare la Messiade fra i più grandiosi e sublimi concepimenti dell’ingegno umano, sì per l’altezza del soggetto, sì pel modo con cui venne poetizzato.

A dare un’idea della medesima, noi crediamo opportuno di qui riportare il retto e imparziale esame che ne fece anni sono un giovane ed elegante scrittore che meritamente gode di una bella fama letteraria, perchè ne’ suoi scritti traluce non solo ingegno ed erudizione, ma rettitudine dì sentimenti e coscienziosità letteraria.

«Consta la Messiade di venti canti dettati in quella specie di verso che i Tedeschi chiamano esametro, e che è pieno dì nobiltà e di grave armonia. Esordisce il poema dall’istante in che i nemici dell’Uomo Dio, quei superbi ed ipocriti Sacerdoti e Dottori del Sinedrio di Gerusalemme, congiurano la morte dì lui, e fanno briga per condensargli sul capo innocente i flutti dell’ira popolare e il sospetto del dominatore straniero. I primi dieci canti descrivono i patimenti e la morte di Cristo: gli altri la discesa al Limbo, un giudizio delle anime, la risurrezione e gli altri misteri con che sì consumò l’opera del gran Riscatto. Madama di Staël, che bisogna sempre citare quando trattasi della letteratura alemanna, dice, in tuono di censura, che il Klopstock, non avrebbe dovuto aggiungere dieci canti a quello che rappresenta l’azione principale, cioè la morte del Salvatore, e parla di essi come dì un’appendice inutile, o per lo meno inopportuna. Noi consentiamo a Madama che quegli ultimi canti non inspirino quel-
  1. Così Achille Mauri in un bell’articolo intorno al Klopstock ed alle sue opere inserito nell’Indicatore del febbrajo 1832.