Egli implorò l’aïta
Degl’indigeni Numi
E fabbricossi casa,
Che diventò fra breve 220La cuna della parva,
Non inglorïosa Ascra,
D’Esiodo genitrice.
L’incenerita selva
Rinasce in auree messi; 225Mentre l’ardita capra,
Sospesa ad ardue rupi,
Olenti piante strappa,
Il paludoso campo
Promette al bove errante 230E menta e timo in breve.
Sorgono in riva al lago
Tre leggiadre colline,
Ch’al nebuloso monte
S’addossano, quai pargoli, 235Che dei lor giuochi stanchi,
Appoggiansi dormendo
Sulle ginocchia al padre.
Là già ride la vite.
Nel già steril vallone 240Bagnate da sorgenti,
E da selvose cime
Contro Borea difeso,
Ora il suolo stupito
Alzarsi vede piante 245Dall’olezzante fiore
E dalle frutte d’oro.
Come se i campi d’Ascra
Divenissero sede
D’eterna primavera, 250Tanti vedeansi i fiori
Alle sue case intorno:
E, le natali selve
Lasciando, sciami d’api
Si stabiliro in Ascra.
255Nel suo cammino etereo
Lo stuol d’augei di passo,
Già vedere credendo
L’alma valle di Tempi,
Qui sceso s’annidava: 260E gli usignuoli ascrei
Non eran men di quelli
Della tomba d’Orféo.
Ma tosto risuonaro
I prati qui dal canto 265Del giovinetto Esiodo.
Gli sono dalla cuna
Propizie le Camene,
Sovente in forma d’api
Al sopito fanciullo 270Ungon di mel le labbra.
Se sull’aprico fianco
D’un colle scioglie ’l canto,
Si tace ogni altra voce;
L’ingorda capra lascia 275Il citiso, ed ascolta,
Ascolta mezzo immerso
Nella palude ’l toro.
In cima a un vago colle
Alberi ed arboscelli 280Crebbero insiem sì densi,
Ch’un solo, smisurato
Sembravano cespuglio.
Là ’l giovane pietoso,
Maneggiando la scure 285Con mano industrïosa,
Scavò piacevol tempio
Alle benigne Muse.
Con ogni primavera
Ringiovanendo il tempio 290Rinuova ed abbellisce
Ogni ornamento suo.
Più d’un pastor felice
Scorsevi le Camene.