Pagina:Kulmann - Saggi poetici.djvu/46

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comprese il suo stato e si familiarizzò coll’idea della morte e di una miglior vita. Ecco ciò che scrisse ad una amica della sua infanzia, in sul principio della sua malattia.

«Ho sognato che da lungo tempo io viveva in cielo, ed era già avvezza al mio nuovo stato: avea delle ali leggerissime, e mi compiacea nell’ammirare i loro uniformi movimenti: volava sotto il sole d’Eden, del quale potea fissare i raggi risplendenti più dolci assai del mio primo sole; m’immergeva nell’azzurro puro e sereno di firmamento meraviglioso per la sua bellezza.

Colà non vi era differenza di giorni: scorrevano recandomi sempre gli stessi godimenti; il mio cuore era certo che chiunque ami sotto quel nuovo cielo, non cesserebbe giammai d’amare.»

Ella celò sempre religiosamente alla madre il segreto che un incerto presentire le avea svelato da prima, e che poi s’era fatta certezza: ella sosteneva quella convinzione rassegnatamente, e con una fiducia senza limiti nella bontà divina, e non restava mai di consolar sua madre, cercando d’ispirarle la speranza di una pronta guarigione: e colla tranquillità di un’anima pura e con una costanza cristiana ella pervenne ad allontanare dalla mente di lei l’angosciosa idea d’una sventura inevitabile. Ma fu più sincera col signor Grossheinrich, quantunque ancor egli si abbandonasse alle lusinghe della speranza. Un giorno mentre egli la consolava dicendo che la sua malattia era pressochè al termine, e che potrebbe dar l’ultima mano alle sue belle opere, Elisabetta sorridendo amaramente, recitò il verso di Schiller nella Sposa di Messina: «La morte è un possente mediatore,» poi aggiunse: «Due miei fratelli sono morti in battaglia, ancor essi erano giovinetti, io non debbo mostrarmi meno coraggiosa di loro.» La mente di lei in mezzo ai tormenti, e già vicina al termine del viver suo, non stava inoperosa. In quel corpo moribondo, il cuore battea pur anco con tutta la sua violenza, e quella mente affidava ancora alla carta tutte le idee che pur tuttavia abbondavano. Molte fra le sue poesie sono parto di malinconica ispirazione, vero canto del Cigno, preludio della morte.