Climena tutta lieta
Interrompe dicendo:
«Ed io ben spesso seco 70A diporto pe’ campi
I fiori a lui più grati
Colgo, e ne fo ghirlande,
E gliene adorno il capo
E le spalle e le braccia, 75Ed ei fiutar volendo
De’ fiori il grato olezzo,
Per inganno li appressa
Alla bocca non anco
Di denti rivestita, 80Che tiene aperta aperta
Quale augellin da nido. Menalca
Avo, ti disser mai,
Come ei da noi giungesse? L’Avo
Io no, nol so: tu dillo. Menalca 85Recoccelo la grue.
Io mel rammento, e tosto
Tel narrerò, m’ascolta.
Ne diede un giorno il padre
Due scodelle ripiene 90Di fior di latte, e frutta,
Tre picciol pani, e poscia
In fondo ne condusse
Del giardino, là dove
Ha principio lo stagno, 95Intorno al qual ben odi
Il gracidar d’innumere
Timide rane. Allora,
«Qui statevi, miei cari,
A trastullarvi,» ei disse, 100«Fin ch’io ritorni a voi.
Ma pur di tempo in tempo
Verso i monti guardate,
Ch’oggi verrà la grue
Dal lunghissimo collo, 105E recheravvi in dono
In roseo cestellino
Un picciolo germano.»
Noi svogliati giocammo,
E quasi sempre fiso 110Lo sguardo inverso i monti
Noi tenevam spiando
Il venir della grue,
Il fratello e la cesta.
Già tramontava il sole 115E noi delusi sempre
Attendevamo ancora,
Quando il padre ne venne
Inverso noi. «Correte,»
Egli gridò, «correte, 120Il fratellino è giunto.»
Noi frettolosi accorsi
Rosea cesta vediamo
Con il fanciul che avea
Per anco chiusi gli occhi, 125Ma la grue più non v’era.
Così narrò Menalca.
Alla madre Climena
Si volse, e timidetta
Sotto voce le disse: 130«Diletta madre, forse
Me pur la grue in roseo
Cestellino recotti?»
Allor la madre a lei:
«Noi te trovammo, o cara, 135Tra que’ tuoi gelsomini,
Che stan del pioppo all’ombra,
Allo spuntar dell’alba,
Quand’è il sole in Leone.»
Ma a un tratto udissi voce 140Che gridò: «Fanciullini,
Già la mensa v’attende.»