nerà la felicità, se non vorranno i filosofi fare partecipi i re de’ consigli loro? Anzi lo farebbero volentieri, e lo hanno già fatto coi loro scritti, quando che volessero i principi ubbidire ai buoni avvisi. Ma ben previde Platone, che non filosofando i re, essi: malamente istrutti dalla fanciullezza, sprezzerebbero i consigli dei filosofi, com’egli vedeva per prova appo Dionisio. S’io proporrò ad un re sani decreti, rigettando i cattivi semi, sarò da lui cacciato o schernito. Poniamo ch’io fossi nel consiglio del re di Francia, e che tra buon numero di uomini prudentissimi si trattasse con quali arti si dovesse tener Milano, pigliare Napoli, andar contra i Veneziani, ed occupare i paesi vicini, confederarsi con i principi, e partecipare con quelli del bottino. Consigliano alcuni che si conducano Alemanni, altri che si plachino con danari gli Svizzeri, altri che si diano danari all’imperatore, altri che si faccia accordo col re d’Aragona, lasciandogli il regno di Navarra. Ad altri piace che si faccia speranza al
principe di Castella di qualche parentado, che si corrompano con danari alquanti nobili della sua corte. Circa l’Inghilterra dicono che più importa, che si faccia con essa finta amicizia, tenendo tuttora in punto gli Scoti, i quali ad ogni movimento degl’Inglesi entrino nel paese loro nemicamente: e che di secreto si favorisca a qualche nobile bandito, il quale pretenda di aver ragione in quel regno, e così terrà sempre il re in sospetto. Se io uomicciuolo, fra tanti uomini egregi, che consigliano a guerreggiare, mi levassi consigliando che si lasciasse stare l’Italia, essendo la Francia tanto grande, che a fatica può essere da un solo governata, onde non dovesse pensare il re di più aumentare il suo dominio: se io gli proponessi i decreti degli Ancorii 1, popoli opposti all’isola degli Utopiensi
vicino all’Euronoto, i quali avendo guerreggiato per ottenere un regno al re loro, che secondo lui gli ve-
- ↑ Probabilmente: senza luogo, senza terra.