Pagina:L'asino d'oro.djvu/109

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libro quarto 93

modo che coteste lagrime ti gioveranno poco! Io so pure che questi miei ladroni ne sogliono far poca stima: in buona fe’, che se tu non muti verso, io ti farò bruciar viva viva. Impaurita adunque la tapinella per così fatte parole, voltossi a quella vecchia, e baciandole le mani, disse: Perdonami, la mia madre, e ricordevole della natia pietà degli uomini, soccorri alla mia perversa fortuna: io non mi persuado però, che per la lunghezza del tempo il fonte della misericordia sia però al tutto risecco in cotesta veneranda vecchiezza: misura adunque la tela della mia calamità, e porgi benigne orecchie alla cagione del mio nuovo dolore. Un bellissimo giovane, e fra tutti i suoi cittadini uno de’ principali, adottato da tutta la città come pubblico figliuolo, allevato e cresciuto sempre meco in una medesima casa, anzi in una medesima camera, e in un medesimo letto; il quale, avendo più di me tre anni, e con santo e perfetto amore amandomi, ed io lui, con consentimento de’ nostri padri mi prese per sua consorte: ed era già in sul celebrar delle nozze, accompagnato da infiniti cittadini e parenti comuni nelle pubbliche chiese, per udir meco insieme il santo verbo d’Iddio; e offerto il maraviglioso sacrificio, la casa mia era tutta coperta d’alloro, piena di fiaccole, nè vi si sentiva altro che festa: ed allora, quando la mia infelice madre, avendomi in grembo, mi adornava cogli ornamenti nuziali, e baciandomi spesso con una materna tenerezza, già si rallegrava de’ futuri nipoti; questi empi ladroni, in guisa di nimici soldati, incrudelendo coll’arme in mano lucide e rilucenti, non ad ammazzare uomini, non a rubar roba porser le mani, ma stretti in un tratto assaltarono la camera dove io era: nè resistendo loro alcuno della nostra famiglia, io misera, e quasi morta, rapita del grembo della mia madre, fui loro troppo onorata preda; e furono disturbate le nostre nozze, come fur già quelle, secondochè si dice, di Piritoo e d’Ippodamia. Ma ora si rinforza, anzi si raddoppia la malignità dello infortunio mio: oimè che ora mi pareva