Pagina:L'asino d'oro.djvu/259

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libro decimo 243

più benigna, mi pur rideva in qualche parte, e preso fidanza del lor piacere, senza muovermi donde io era, attesi a maciullare; insino a tanto che il padrone, tutto allegro del nuovo spettacolo, comandò ch’io fussi menato, anzi egli colle sue mani mi menò, nella sala dove egli mangiava: e fattomi apparecchiare una tavola, vi fece mettere su tante e sì elette vivande, ch’e’ ne sarebbe stato bene un liofante. Ed io ancorchè fussi assai ben satollo, desiderando di compiacerli il più ch’io poteva, come se affamato fussi mi mangiava ciò che mi era posto innanzi. Ed eglino immaginandosi quello che più solesse essere a schifo ad un asino, e con ogni diligenza cercandone, me lo ponevano alla bocca, per pienamente tentare la mia mansuetudine: carne nell’aceto, uccelli ripieni di pepe e altre spezierie, pesci ne’ più strani guazzetti che voi mai gustaste; e non mancò chi mi portasse un quarto di capretto con uno scodellino di salsa. E mentre ch’io ogni cosa rassettava, tutto il convito si risolveva con riso. Allora un certo buffon magro, che era lì presente, voltosi al signore, disse: E perchè non date voi anco un poco di vino a questo buon compagnone? E’ non ha parlato male il ribaldone, rispose il signore: e voltosi ad un di quei giovani che davan bere, seguitò: Emo, piglia quel tazzone, e lavalo molto bene, e dà a questo nostro novello parasito un tazzon di vin greco del miglior che sia in cantina; e digli, come io gliene ho fatto la credenza. Stette tutto il convito in una grandissima aspettazione di questo fatto; nè io impaurito miga per questo, rassettatemi l’estremità delle labbra in guisa della lingua, ne bevvi tutto in uno sorso quel grandissimo tazzone di vino. Hai tu mai veduto a Roma quei conviti che si fanno dal Re che e’ chiamano della Fatta? che quando quegli che tiene il luogo del Re, beve, tutto il convito lieva il romore, gridando: il Re beve, il Re beve; cotal fu il romore di tutti quei che erano nella sala, a gridare: buon pro ti faccia, buon pro ti faccia; quando io ebbi tracannato quel vino. Allora il signore, chiamato quei