Pagina:L'asino d'oro.djvu/263

Da Wikisource.

libro decimo 247

attorniata e dall’un tratto una finissima pomata, e dall’altra odoratissimo olio di citrebon, posciachè si ebbe unta in quei luoghi che manco il ritengono, or coll’uno or coll’altro liquore quasi tutto mi stropicciò; ma con molta più diligenza il tremulo naso, e le pendule labbra volle che partecipi fussero di quelli odori. Nè contenta di questo, gittatomi sopra un buon pugno di polvere di Cipri, non miga della nostrale, mi si corcò a giacere allato: nè erano i baci finti, nè in quella guisa che ella gli soleva porgere agli altri amanti; non domandatori di ricchi drappi, non rattori d’argenti e oro; ma puri, sinceri, di voglia, se le spiccavano d’in sul cuore: che carezze, che amorevolezze mi mostrava ella! che paroline dolci mi disse ella! voi avreste detto: costei è che tenne in grembo Adone. Vedi che pur posseggo il mio colombino, vedi che pure ho in braccio il mio passerino: io non cerco altri che te, io non posso vivere senza te, io voglio bene a te solo; tu se’ ogni mio bene, metà dell’anima, riposo del cuor mio, dolcezza mia. E non diceva parola, che con un bacio non la tramezzasse. E posciachè ella mi ebbe usati tutti quegli atti, e fatte