Pagina:L'asino d'oro.djvu/34

Da Wikisource.
18 dell'asino d'oro

compagno, e diligentemente il considerò: ed egli per lo impeto del trargli quella spada, che gli aveva risegata la gola, ribollendogli il sangue, mandò fuori una voce, anzi stridore in confuso, che io non potetti discerner parola: perchè presa una spugna, e nettandogli con essa quella ferita così grande com’ella era, disse: O spugna nata dove il mar si folce, guarda che tu non passi per acqua dolce. E poscia ch’ell’ebbero compiuto tutte queste belle faccende, avendomi una di loro levato il letto d’addosso, elle si misero a gambe larghe amendue sopra del mio viso, e non restaron mai di disgombrare la vescica, insino a tanto ch’elle m’ebber coperto d’una orina così puzzolente, che mai più non ebbi paura di ammorbare, se non allora. Nè si erano partite appena, che io vidi riserrar la porta in quel medesimo modo ch’ella s’era prima: gli arpioni ritornarono alle bandelle, le ’mposte a’ loro regoli, i chiavistalli a’ loro anelli, e nel muro si rassettarono gli stipiti, e le soglie tornarono a’ luoghi loro. Ma io così come era per terra, senza spirito, ignudo, freddo e tutto bagnato, come se pure io uscissi allora di corpo a mia madre, anzi mezzo morto, o piuttosto soprav-