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104 l’edera

Ballore, e nessuno più potrebbe additarmi la mia via. Se avessi continuato a studiare sarei diventato qualche cosa, ma già mio padre, mia madre, i miei nonni, tutti, tutti hanno commesso un grave errore cacciandomi in Seminario. Non ero uccello di gabbia, io! Chiusero la porta ed io tentai scappare per la finestra. Allora mi mandarono via, e fu da quel giorno che smarrii la strada. Nessuno mi disse che dovevo lavorare, ed io me ne andai per il mondo, e fui come quei mendicanti che vanno di festa in festa. Anche io nelle feste cercavo qualche cosa che non trovavo mai. Non sono cattivo, però, vedi: non ho mai fatto del bene, ma neppure del male: solo a me stesso ho fatto del male. Tante volte anzi, ho desiderato di poter fare almeno del male, come sanno farlo molti, con forza e con astuzia. Niente: neppure ciò so fare. Ti ripeto, sono rimasto un bambino: la mia intelligenza e la mia istruzione, e tutto insomma, tutto, in me si è fermato nel meglio del suo sviluppo: sono come quei frutti che si seccano prima di maturare...

L’altro ascoltava e non riusciva a capire tutta la finezza e la desolazione del discorso di Paulu; capiva una cosa sola: che l’amico cavaliere non si sarebbe mai più sollevato dalla sua rovina morale e materiale, e si pentiva d’averlo invitato.

Chiacchierarono ancora, poi andarono a letto.

All’alba Paulu si svegliò e si accorse che Ballore usciva, ma quando egli si alzò l’amico era già rientrato e beveva un bicchierino d’acquavite.