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l’edera 115


— A momenti sei pallida, a momenti il tuo viso è infiammato, — le disse, sfiorandole con le dita la fronte. — Che hai, Annesa? Sei malata, sei stanca?

— Ma niente! È il calore del fuoco, — disse Annesa, irritata.

Anche zia Anna la guardò e non scherzò più. Dagli occhi dolci e tristi di Annesa era scomparsa la solita mansuetudine: a momenti splendevano d’una luce selvaggia, fissi e incoscienti come gli occhi d’un allucinato.

— La ragazza oggi è di malumore; lasciamola tranquilla. È adirata perchè non voleva che quest’anno si desse il pranzo, — confidò donna Rachele alla cugina.

Zia Anna, veramente, non dava torto ad Annesa. Dal momento che fra pochi giorni la tanca doveva esser messa all’asta, era stupido soddisfare il canone. Ma non disse nulla e continuò a girare lo spiedo sulla brace fumante.

Nella camera del vecchio asmatico la tavola era già apparecchiata: sulla tovaglia giallognola le ultime sei posate d’argento stavano accanto ai piatti bianchi sparsi di fiorellini rossi.

Già due invitati, due vecchi fratelli, Chircu e Predu Pira, sedevano davanti al lettuccio dell’asmatico. Erano due vecchi disgraziati, di buona famiglia, che avevano tentato sempre qualche negozio, qualche impresa, e sempre avevano fallito. Vestivano decentemente, in borghese, ma i loro visi bianchi, cascanti, le mani scarne, gli occhi pieni