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138 l’edera


— Sognavo... Mi pareva m’avessero portata via la medaglia: eccola qui... — disse zio Zua con la sua voce tremula e ansante, cercando e traendo fuori dal petto la medaglia.

— Proprio! Ora vi portano via anche quella porcheria. — rispose Annessa con dispetto. — Proprio: ora vengono i grassatori per portarvela via.

Il vecchio alzò la testa.

— Ohè, bada a quel che dici, ragazza! Se non portano via la mia medaglia, porteranno via gli stracci dei tuoi padroni!

— Io non ho padroni! Dormite, dormite, che farete bene. Neppure la notte lasciate in pace la gente...

— Non hai padroni? Ah, è vero, domani sarete tutti servi, — riprese il vecchio, sempre più irritato. — Servi, sì, servi! Anche il tuo bel giramondo, se vorrà vivere, andrà col badile e la zappa sulla spalla...

Non era la prima, nè la millesima volta che egli, d’altronde provocato, le rinfacciava la miseria dei «suoi padroni». Entrambi sapevano dove meglio colpirsi a vicenda e non esitavano a farlo.

Instintivamente ella si scostò dal letto, ripresa da un tremito convulso; raccattò la coperta, sedette sul canapè e sbadigliò. Il vecchio continuava a borbottare.

— Ah, non vi lascio in pace neppure la notte? Malanno che vi colga, anche quello mi rinfacciate? Chi ti cercava, vipera? Sei tu che mi hai svegliato, e faresti davvero meglio a spogliarti e andare a