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142 l’edera

morte regnava oramai nella camera: ogni oggetto restava immobile, nella penombra, e solo il lumicino continuava ad ardere ed a spiare, quieto nel suo angolo, come un testimone che vuol vedere senza esser veduto. Ad un tratto ella provò un terrore misterioso; le parve che le cose intorno, mascherate di penombra, avessero paura di lei, ed era invece lei che aveva paura di loro: se un mobile avesse in quel momento scricchiolato ella sarebbe fuggita urlando.

Finalmente si mosse: stette alcuni momenti in piedi, davanti alla vittima, senza osare di scoprirla; poi udì un rumore che le sembrò venisse dalle stanze superiori, e corse e chiuse a chiave l’uscio.

Ma subito lo riaprì e uscì nell’andito.

Che fare? Per un momento pensò che doveva gridare, chiedere aiuto, dire che il vecchio moriva. Salì il primo rampante della scala, fino all’uscio di donna Rachele, ma mentre stava per picchiare ricordò di aver lasciato la coperta sopra la vittima, e di nuovo le ritornò in mente il dubbio che il vecchio non fosse morto.

Ridiscese, ma una nuova impressione morbosa le impedì di levar la coperta: ella aveva paura di veder il viso della vittima. Qualche cosa però bisognava fare; chiamare, fingere, dire che il vecchio era morto in seguito ad un accesso.

— Dio mio, Dio mio, — ella mormorò, lisciandosi due volte i capelli con ambe le mani.

E andò a sedersi sul canapè. Il cuore non le batteva più. Ma si sentiva stanca, così stanca che