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l’edera 189


— Lo credo! Lo credo! — esclamò Annesa con fervore. — E s’egli è libero, tutto si accomoderà!

— S’io potessi vederlo, — pensò, — se io potessi parlare con lui!

Che cosa gli avrebbe detto? Non la verità, certo. Ma il desiderio, il bisogno di vederlo, di raccontargli ciò ch’era successo, di combinare con lui il miglior modo per difendersi, per salvarsi, la spinsero verso il sentiero della montagna.

Ella s’avviò, come una sonnambula, senza dire a zia Anna dove andava.

— Dove vai? Dove vai? Annesa?...

Ella non rispose: ricordava le parole del cieco, il contegno di prete Virdis, lo sguardo beffardo dei fratelli Pira. Sì, certo, fin dalla mattina, la gente sapeva che una calunnia infame correva sul conto di Paulu: e qualche anima buona, come diceva zia Anna, forse lo stesso Niculinu, aveva mandato ad avvertire il vedovo.

Lassù, fra le roccie e i boschi millenari s’aprivano grotte e nascondigli inaccessibili a tutti, fuorchè ai pastori che ne conoscevano i laberinti. Ziu Castigu, poi, era tanto pratico di quei luoghi, che egli stesso qualche volta si vantava d’essere il re delle grotte (su re de sas concheddas). Senza dubbio Paulu, poichè non era tornato in paese, s’indugiava lassù, in attesa che la calunnia messa in giro dagli amici del morto venisse smentita.

Ripassando dietro la chiesetta, dove cominciava il sentiero della montagna, Annesa si fermò ancora ad ascoltare ed a guardare verso il villaggio. Le