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224 l’edera

vecchia, portò a casa, quando ritornò, quattrocento scudi e mise su un bel negozio. E Paulu che dirà? Che farà? Mi aiuterà? Mi rinnegherà? Faccia egli quel che crede: io farò il mio dovere. Sarò buona... sarò buona... Dio, Dio mio...

E piangeva, pensando a Paulu, ma non più con lagrime di vergogna o di disperazione: poi si proponeva di non pensare oltre a lui: le pareva di peccare ancora, ricordandolo. Ella non voleva peccare mai più. E Gantine? Che farebbe, che direbbe Gantine? Egli era giovine, leggero: si sarebbe presto confortato.

Verso mezzogiorno zio Castigu battè alla porta. Ella uscì nel portico, mangiò un pezzo di pane d’orzo e un po’ di latte coagulato, e scambiò qualche parola col pastore.

— Sei ferma nel tuo proposito? — egli le domandò. — Vai giù stassera? Vuoi che ti accompagni?

— Non occorre: non ho paura.

Egli la guardava. Ella era pallida, ma aveva ripreso la sua solita fisionomia, il suo solito sguardo, un po’ beffardo, un po’ ingenuo. Zio Castigu cominciava a credere di essersi ingannato, ritenendola colpevole.

— Stanotte ho sognato che era venuta su, fin qui, Anna Decherchi. Aveva sul capo un cestino pieno d’uva, e una lettera in mano. Ma non era Anna Decherchi; era invece Paulu travestito, ma travestito così bene che sembrava la vecchia. Appena mi vide si mise a ridere e mi domandò: Dov’è Annesa? Voglio farle uno scherzo...