Pagina:L'edera (romanzo).djvu/247

Da Wikisource.

l’edera 245


— Va bene: ho capito, — rispose prontamente ii vecchio. — Basta che questa persona vada a piedi fino al ponte, posdomani mattina, presto, e mi aspetti là.

— E se c’è qualcuno che vuol partire?

— Si saprà domani sera: verrò ad avvertirla, se mai.

— Va bene. E... silenzio, non è vero? Voi mi capite, non è vero?

— Va bene: non dubiti.

Il vecchio si alzò e mise la mano sopra la busta.

— Paula, porta da bere, — gridò prete Virdis, affacciandosi all’uscio. Ma siccome nessuno rispondeva egli scosse la testa e disse: — andiamo giù: vi farò dare un bicchiere di vino. O volete acquavite?

— Vino, vino, — rispose zio Sogos, stringendo la busta dentro il pugno. — L’acquavite non è mia amica.

Dal suo cantuccio Annesa sentì la voce del vecchio carrozziere e sospirò. Finalmente! Doveva esser giunta la risposta da Nuoro. Ah, partire, partire! Arrivare in un luogo ignoto, fra gente nuova: cominciare una nuova vita, lavorare, soffrire, dimenticare! Ella non pensava ad altro.

Appena uscito zio Sogos, prete Virdis entrò da lei e disse:

— Come, al buio? Ah, che fa quella donna benedetta, che ti lascia al buio? E che quest’anno non si trovano olive? Non si trova olio?

— Per quello che ho da fare! — mormorò Annesa. — Eppoi il lume è qui.