Vai al contenuto

Pagina:L'edera (romanzo).djvu/264

Da Wikisource.
262 l’edera

tutto è finito davvero! Ella ha ripreso il suo fatale cammino, che deve condurla lontano per sempre da quei luoghi ove un giorno è giunta così, come ora parte, con un fagotto in mano e guidata da un vecchio misterioso che era forse il suo triste Destino. Ancora egli la guida; è invisibile ma è lì, al suo fianco, e non l’abbandonerà mai.

Passò quasi un’ora. Il cielo si copriva di vapori rossastri che annunziavano una giornata torbida e calda. Un’allodola cantò, da prima timidamente, poi sempre più vivace e ardita: un roteare di carrozza risuonò nello stradale. Annesa balzò in piedi, ascoltando. La carrozza s’avvicinava. Era la vettura di zio Sogos? Era presto ancora, ma il vecchio carrozziere aveva probabilmente anticipato l’ora della partenza; la vettura, infatti, arrivata vicino al ponte rallentò la corsa e si fermò. Ella prese il fagotto, e si avanzò verso lo stradale: ma appena ebbe fatto qualche passo si fermò, e un rossore lividognolo le accese il volto. Paulu Decherchi era là, a pochi passi da lei, fermo davanti a un carrozzino a due posti.

— Annesa!

Ella non rispose, non si mosse, e lo guardò come spaventata, vinta da uno strano sentimento di paura e di gioja. Egli le fu vicino e le disse qualche parola che ella, nel suo improvviso turbamento, non udì. Per un attimo ella dimenticò ogni altra cosa che non fosse lui: se durante quel momento d’inconscienza egli le avesse preso una mano dicendo «torniamo a casa», ella lo avrebbe seguito docilmente.