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l’edera 39


Poi egli uscì ancora, ed ella sedette di nuovo sul limitare della porta.

Non aveva sonno, e l’idea di doversi chiudere nella camera dove ogni tanto s’udiva il gemito del vecchio asmatico, le dava quasi un senso di terrore. Ma alla sua inquietudine, al suo affanno, si mescolava ora una vaga ebbrezza: ella sentiva ancora il sapore delle labbra di Paulu, e davanti a sè non vedeva che la figura di lui, triste, beffarda e voluttuosa. Questa figura, d’altronde, le stava sempre davanti, la precedeva in tutti i suoi passi come la sua ombra.

Da anni ed anni ella viveva in compagnia di questo fantasma che solo la presenza reale di Paulu faceva dileguare. Ella non era una donna ignorante e incosciente: aveva studiato fino alla quarta elementare, e dopo aveva letto parecchi libri; tutti i libri che Paulu possedeva. Ed egli era stato il suo migliore e più suggestivo maestro. Le aveva insegnato tutto ciò che egli sapeva o credeva di sapere. Le aveva additato le costellazioni, le aveva spiegato l’origine dell’uomo, e il mistero del tuono e del fulmine, e l’aveva eccitata dandole da leggere romanzi d’amore, e infine l’aveva convinta che Dio non esiste.

Ella conservava due o tre dei romanzi letti nella sua prima gioventù: li teneva fra le sue cose più care, giallognoli e scuciti come libri sacri letti e riletti da molte generazioni. E sapeva quasi a memoria quelle storie d’amore e d’angoscia, come leggende famigliari.