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cresce la materia, se ne affinano gli ordini; il senso se ne fa più squisito; diviene più esigente e gelosa in ogni sua forma l’autonomia individuale, la quale riconosce la sua naturale tutela nell’ordine giudiziario. Ogni ufficio, ogni competenza, anche puramente economica, ovvero politica, dello Stato, viene a prodursi in forma necessariamente giuridica, ossia come una potestà che lo Stato ha diritto di far valere. Al governo, all’amministrazione tutta quanta, riscontra per la parte formale quello che per ciò stesso si chiama il diritto pubblico, il diritto di Stato; e (ripeto) nessun dubbio, che il diritto in generale non debba contare ogni giorno di più.
Ma d’altra parte gli è vero, e si sa, che nei rapporti e negli ordini della vita sociale il diritto non è il tutto, non è la sostanza del tutto; e, per esempio, nell’ordine scientifico, il diritto economico, ovvero il commerciale, non è ancora l’economia politica, e non potrebbe tenerne luogo; e tra le funzioni essenziali dello Stato, se il diritto riscontra esattamente, e da solo, a quella della giustizia, non potrebbesi dire che esso basti anche a quella dell’amministrazione.
Vogliate, ve ne prego, assentire che a tale proposito io qui ripeta qualche osservazione, la quale per me risale ad epoca già alquanto remota, e mettetela, ove ne fosse d’uopo, sotto la mia sola e personale responsabilità scientifica.
Non è dal solo punto di vista del diritto, che può desumersi la coltura necessaria per l’amministratore; e tra la funzione di lui e quella del giudice corrono delle differenze, le quali non possono a meno di riflettersi anche nella parte materiale e virtuale del corrispondente insegnamento.