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l'ombra del passato 123

fossi larghi e profondi e da cavdagne erbose: egli ne conosceva naturalmente ogni albero, ogni filo d’erba: quello alto e poderoso era il ciliegio le cui foglioline delicate e lucenti riflettevano la rosea luce del sole al tramonto: quell'altro era il susino svelto, che pareva un figliolino del noce gigantesco. In fondo alla cavdagna centrale, che metteva nella strada alberata, due pioppi altissimi vigilavano i campi quel giorno silenziosi.

Il sole tramontava dietro questi pioppi, sul cielo d’un azzurro tenero e vellutato. Adone pensava agli altri ragazzi della sua età, che in quell’ora andavano a spasso o in chiesa ed erano l’orgoglio dei loro genitori. Egli invece era là, solo, desolato, e doveva nascondersi come uno che ha commesso un delitto. E tutto questo perchè era un poveretto.

Egli ricordava benissimo i bei giorni di festa, quando era vivo lo zio Giovanni: egli lo accompagnava in chiesa, e tutti si fermavano a salutarli e guardarli sorridendo. Allora egli era ricco: lo zio Giovanni lo conduceva per mano attraverso i campi e gli diceva:

— Vedi, tutto questo sarà tuo, se sarai buono.

Egli era stato buono sempre... tranne quel giorno! Ma lo zio era morto e non aveva tenuto le sue promesse, e aveva lasciato la sua roba agli altri.

— Zio, zio mio, — gemeva egli stringendosi le mani al petto — perchè hai fatto così? Perchè non mi hai lasciato qualche cosa? Almeno il ciliegio, o il noce, o i pioppi! Non sarei così poveretto, così disgraziato! Perchè tutto a loro, e a me niente?