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142 l'ombra del passato

gevasi di rosa: e saliva sempre più acuto l’odore dell’erba fresca. Adone pensava che Pirloccia l’aveva ingannato ancora, facendogli credere che Francesco moriva: quell’ometto era nato per mentire. Ma egli non si pentiva di tornare indietro: era tanto stanco, gli pareva che anni ed anni fossero passati dopo la scena della notte scorsa. E sbadigliava, di fame, di tristezza, di stanchezza, sempre più pallido in viso, con gli occhi tristi come gli occhi di un uomo infelice. L’unica impressione lieta che ormai provava era la speranza di raggiungere la cestaja e l’abitino rosso a piselli neri. Non sapeva e non cercava certo di spiegarsene il perchè: ma l’immagine della ragazzetta gli era rimasta impressa nella niente, e ripensando a lei si sentiva allegro, come riflettendo la gioia spensierata di lei.

Ma per quanto Pirloccia frustasse Rondinolo, la figura melanconica della cestaja e l’abitino rosso non apparivano mai in fondo alla strada: pareva che avessero già varcato l’orizzonte, e che non si potessero raggiungere mai più in tutta la vita! Addio, addio: mai più! E la grande luna d'oro saliva su quell’orizzonte color lilla, in fondo alla strada: saliva, saliva, varcava la linea degli alberi immobili, saliva sulle vie tranquille del cielo infinito! Aveva essa veduto la donna e la bambina? Chissà, forse. Pareva che anch’essa fuggisse, diretta verso un luogo misterioso. E nessuno poteva inseguirla, nessuno poteva raggiungerla! Ma anche lui. Adone, un giorno, o una sera, sarebbe fuggito così: e non sarebbe più tornato indietro.