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190 l'ombra del passato


A un tratto sorse una discussione tra il fabbro e il prevosto, a proposito del cagnolino di quest’ultimo, che rifiutava non solo i pezzetti di pane, ma anche la minestra che la zolfanellaja gli metteva sotto il muso. IL vecchio fabbro e il prevosto erano amicissimi, ma litigavano spesso. Il grosso prete non era cattivo, e tranne quelle del Corriere della Sera non aveva altre opinioni; ma voleva sempre aver ragione lui. Il fabbro a sua volta parlava come pensava.

— È tempo di ammazzarlo, questo cagnolino, disse seriamente al prevosto. — Vuol mangiar pollo, e non serve più a niente.

— È tempo di ammazzar voi! — rispose il prevosto, piccato. — E voi, a che servite? A far chiodi!

Tutti risero: Adone più di tutti.

— Ma io non mangio pollo, perdia! E nemmeno minestra tutti i giorni! E lavoro, sebbene vecchio — cominciò a gridare il fabbro, facendo atto di battere il ferro. — Nessuno sa più adoprare il martello come me. Così, così! Avessi sull’incudine quel che dico io; l’aggiusterei per benino.

— Chi, chi? Che cosa? — domandò Pirloccia, malizioso, sperando che il fabbro nominasse il prevosto.

Ma il vecchio batteva, batteva un immaginario martello, e rispose!

— Il mondo!

Bravo! — grillò Davide. — Siete un vero anarchico!