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l'ombra del passato 323

l’immobilità e lo stupore delle cose intorno. La luna sale; ha già varcata la zona dei vapori colorati e luminosi che fasciano l’orizzonte.

In nessun luogo della pianura la poesia della sera è così misteriosa come in riva al fiume, fra la sabbia, i pioppi nani, sotto l’argine che così, visto dal basso, dà l’illusione di una collina. Tutto è illusione; pare che il mondo finisca lì, lasciato da un cerchio magico di silenzio e di pace. Soltanto la sonorità dell’acqua porta, di tanto in tanto, la vibrazione di un suono lontano; ma questo suono par che venga da un altro mondo, da un’isola scomparsa sotto il fiume. Ad accrescere la bellezza magica della sera qualche volta succede un fenomeno vaghissimo; dopo il tramonto del sole, quando ancora intorno alle isolette di sabbia l’acqua è d’un violetto dorato, appare sull’occidente un’irradiazione bizzarra, formata da otto larghi raggi rosei che si stendono a ventaglio fino allo zenit: ad oriente si riflette la stessa irradiazione, d’un roseo più pallido: tutto il cielo ha un aspetto fantastico.

Sul fiume scende un barcone carico di legname: i barcaiuoli accendono il fuoco per la cena, uno di loro suona la fisarmonica, un altro canta:

Dch, vieni nel mio giardino...

E anche sulla linea nera dell’argine si profila una figura e trema un fischio melanconico che ripete ancora il motivo dell’inno dei lavoratori.