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l'ombra del passato 33


— Che sai tu? — disse Adone con disprezzo. — E si cade forse dalla terrazza del palazzo Dargenti?

— Chi lo sa? — rispose la bimba, pensierosa.

— Io ci salirò un giorno o l’altro, invece riprese il ragazzetto, sempre più animandosi. Voglio comprarlo quel palazzo, io!

— Proprio, proprio! — esclamò la mamma, ridendo. — Ecco Reno, il tuo povero fratellino. Sentiamo cosa dice, lui.

Reno, il fratellino rachitico, scendeva zoppicando la scaletta di legno che dalla cucina conduceva alla stanza superiore.

Vedendo Adone, che si era voltato per guardarlo, gli si piantò davanti, con le gambestorte aperte ad arco, con le mani in tasca, gli occhioni verdi spalancati sotto una folta frangia di capelli gialli: e non rispose al suo sorriso, ma lo fissò a lungo, con evidente senso d’invidia. Adone era così ben vestito!

— Renuccio, ti sei svegliato ora? Vieni qui, caro, — disse la mamma porgendo le mani al di sopra delle spalle.

Ma il rachitico era di cattivo umore: aveva troppo dormito. Non rispose, non aprì bocca, ma s’appoggiò alle spalle della mamma, e piano piano ella finì col prenderlo in grembo. E lo baciò sul capo, gli divise sulla fronte i lunghi capelli giallastri, gli disse, con parole velate, che egli era il suo bimbo più caro, perchè il più infelice. E per divertirlo insistè sui folli progetti del «capomastro» mentre Ottavio, che fino a quel momento