Pagina:La Donna e i suoi rapporti sociali.djvu/180

Da Wikisource.

175

stancabilmente aggiunga, senza vuoto lasciarvi mai, e questo chiami felicità suprema e massimo piacer della vita. In quanto a me, ammirando la forza invitta di quei filosofi che lo eroismo si bevvero siccome l’acqua, odo tuttora la voce del moribondo Bruto, che lagnasi dell'error suo. «Infelice virtù, esclama egli, oh quanto mi sono ingannato nel seguirti! Io credea pure che tu fossi un ente reale, ed in questa convinzione mi ero attaccato a te stessa; ma ora m’aveggo, che tu non eri che un nome vano, ed un vano fantasma, misera preda, e schiava tu pure della fortuna!»

E Bruto, così desolandosi, era logico; egli era veramente la vittima di un errore, egli scambiava il mezzo col fine. La virtù importa sforzo e violenza; e se questa violenza può riescire di compiacimento massimo allo intelletto, quando sovratutto ad alti fini s’ispira, esser non può mai gioia e piacere- a quella parte dell’uomo che trovasi violentata, epperò è per sè stessa insufficiente a darci felicità.

È duopo dunque, che noi vediamo nella virtù un mezzo che ci guida alla conquista del bene, e non già l’ultimo fine dell’uomo.

Nè crediate già, mie gentili, ch’io così voglia ridur la virtù ad un mercato, strappandole dal capo quell’aureola luminosa di cui seppe lo stoicismo incoronarla per poi presentarla all’umana schiatta, siccome sola divinità alla quale piegare il ginocchio ed ardere incenso, mai no; la virtù deve farsi sublime ed eroica nel vincolo solidale che legar deve gli uomini d’ogni regione; laonde il bene universale cerchi e procuri prima ed a preferenza dello individuale, e reputi degna ed invidiata mercede al proprio lavoro il bene altrui. Questo è la logica della virtù ed il suo eroismo: lo stoicismo è assurdo e follia.