Pagina:La Donna e i suoi rapporti sociali.djvu/237

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Pensa dessa alle lotte tremende col bisogno dall’infelice combattute, alle vigilie frementi e sconsolate, alle lagrime cocenti che precedettero il fallo e lo seguirono, alla vergogna che le soffuso le guancie al solo ricordarlo, eppoi all’abbandono, al disprezzo prima temuto e poscia subito, ai lunghi mesi di sofferenza, al frutto dell’errore a tutto suo carico, se pure non le fu indispensabile lo strazio d’allontanarsi il figlio di tanti dolori per abbandonarlo alla carità cittadina?

Pensa dessa a tutto ciò la società quando, indulgente all’autor primo di tanti mali, apre talora a festeggiarlo le sue sale dorate ed i suoi brillanti convegni, e dovunque lo celebra amabile conquistatore? Ha dessa un cuore la società quando, disconoscendo nella donna il santo diritto di vivere del suo lavoro e non della sua persona, satirizza e chiama il ridicolo sopra uomini generosi che, tutti questi mali vedendo e deplorando, chieggono ad alta voce che si sottragga la metà del genere umano alla tirannia dell’altra; e più non si lasci codardamente la donna inerme bersaglio all’impeto di passioni e d’interessi non suoi, senz’altra difesa che quella d’un eroismo, che l’uomo, sovente schiavo incatenato d’ogni depravato istinto, è ben lungi dall’esser in diritto d’esigere da una creatura di lui già ben assai migliore?

Ha dessa la società un bricciolo di quel sentimento d’equità e di giustizia di cui pur mena tanto, scalpore, quando, mentre propugna per l’uomo libertà, e domanda assiduamente attività di commercio, circolazione di danaro, dilatazione del diritto, e freme e scalpita se l’ombra sola d’un dispotismo mostra di volerlo ledere in qualche parte; si fa poi lecito di menar colpi da orbo attraverso alla donna che, dopo avere con ogni sacrificio ed entusiasmo favoreggiato tutte le libertà, cerca ora la sua?