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ed onesta molto, ebbe facili gli studi e le pratiche del mondo elegante e civile. Nè la natura gli niegava i suoi doni, concedendogli leggiadre forme, viso gioviale, occhi esprimenti e vivaci, un fine ed incantevole sorriso, facilità di eloquio, mani affilate e piccoli piedi; un di quei tipi della bella e robusta razza romagnuola che al sol vederli si distinguon tra mille. Simulatore e destro ne’modi, di carattere debolissimo, ardente ne’giovanili piaceri, incontrò casi d’amore che gli addolorarono per due volte l’anima. Onde, per isbarazzarsi più agevolmente da cuocenti memorie — dure a patirsi nel loco natio — dieciottenne recavasi in Roma a fine di ottenervi il posto di guardia nobile nella corte del papa.
Sedeva allora pontefice la santità di Pio VII, cui la famiglia per legame di amicizia raccomandavalo; e quel buono accoglievalo con affabilità grande nel Vaticano, assentiva a’suoi desiderii; e vedendolo di sovente, preso dal costumato e riflessivo contegno suo, gli pose fortissimo affetto. Ma la smania affannosa ch’entro il rodeva nocque alla di lui salute e fu colto da tale incresciosa malattia a fargli abbandonare la impresa carriera. Alla molta afflizione, alle molte parole di conforto portegli dal pio protettore successero le macerazioni, i digiuni, le ferventi e lacrimate preghiere al fattor d’ogni bene. La fede operava il miracolo; ogni traccia del male scomparve; la gratitudine lo chiamò al ministero santo di Dio; e, ordinatosi prete, si diè alla direzione dell’ospizio degli orfani, detto, dal nome del caritatevole fondatore, di Tata Giovanni.
In quel cuore bollente, impetuoso, la pietà non potevasi rimanèr tepida e tranquilla; il cerchio dei derelitti e miseri fanciulli parve a lui troppo ristretto; ed aspirò ad un apostolato rischioso in regioni lontane, nelle vergini foreste, in mezzo a nomadi e selvagge tribù per catechizzarle e mostrar loro la fiaccola delle vangeliche dottrine. Un prelato partiva alla volta del Chili ed egli accompagnavalo in qualità di uditore. Colà diè libero campo al suo zelo smanioso, provò emozioni nuove e soavi nella concitata anima sua, pati disagi e sventure; finché, discacciato insiem col Vicario di Roma per ordine del governatore del luogo, tornò nella capitale dell’orbe cattolico, ove Leone XII, in premio delle sue fatiche, il nominava presidente dell’ospizio di San Michele, quindi arcivescovo di Spoleto.
Allorché nel 4834 le bande armate degl’insorti occuparono la sua diocesi, egli rimase al suo posto; e cominciate le persecuzioni del governo contro tutti gli uomini sospetti di amare la loro patria, gli arrestati fe’ rilasciare, i fuggiaschi protesse e difese. Al ministro Bernetti non poteva piacere un prelato si umano e periglioso perchè vicino; per tali ragioni, da papa Gregorio facealo nominare cardinale e trasferire in Imola, città delle Legazioni non lungi di Bologna. Quivi come altrove apparve prodigo del proprio pei poveri, apri la sua casa a serali veglie, invitandovi ogni culla e costumata persona a qualunque opinione politica essa si appartenesse. La cieca devozione a’ cattolici precetti non lo inselvaticava ponto; chè anzi, nel civile consorzio mostravasi ameno e facile narratore, amante di libertà temperata ed onesta. E una sera, parlando con un conte di Ravenna, venuto a complirlo nella sua residenza, così si esprimeva: