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in lutto; gli uomini, tutti in guanti neri; non si canta, non si balla, non si fanno mascherate».

Le visite domiciliari fatte all’avvocato Manin e al Tommaseo nulla fruttarono alla sospettosa polizia austriaca. Sempre più stizzita, imprigionava e precettava nel regno quelli che per ingegno e per ricchezze parea esercitassero maggiore influenza. Ma con siffatti aggravi gli animi s’inasprivano senza farsi sgomenti. L’unione di tutti maravigliosa. Un solo pensiero, un solo sentimento muoveva le popolazioni. Giungevano spessi rinforzi di truppe, e più spessi erano gli attacchi degli studenti e del popolo minuto co’ forestieri armati. Le strade di Pavia e di Padova furono pollute di sangue. Brescia era in grande scompiglio. I Bergamaschi ardevano di sdegno, e difficile riesci va il calmarli. Nessun paese tranquillo quantunque assiepato di sgherri. Molti, traendo profitto di tanta agitazione, non pagavano la tassa prediale: il governo faceva sequestri; ma siccome non v’era chi comperasse gli oggetti incamerati, le finanze imperiali cominciavano a ridursi a mali termini; e la gioventù dignitosa aiutava al loro disfacimento col non usar più tabacco da fumo, col vestir di velluto fabbricato da mani lombarde; e la povera gente non giuocava più al lotto. Oltre a ciò, lo istituto delle scienze produceva un rapporto sulla stampa e sulla pubblica istruzione, in cui si chiedevano riforme, pari a quelle non ascoltate della Congregazione centrale, suggerite dai tempi nelle scienze, nelle agricolture, nelle industrie e nel servigio sanitario.

Accadevano su quel torno i felici combattimenti dei Palermitani colle borboniche schiere; e le moltitudini empivano la Cattedrale per rendere devote azioni di grazie al Dio che fortifica i deboli e castiga, raumiliandoli, i superbi. Il governo volea vendicarsi di tanti insulti commessi contro l’autorità sua; e lanciava sul popolo inerme i soldati ubriachi, i quali mai provocati, nelle botteghe di caffè, dinanzi ai capannelli di gente, percuotevano a dritta e a rovescio senza ragione, alla deca; e molti i morti, moltissimi i feriti. Si sprigionavano eziandio da Santa-Margherita e da Costa-Nuova dugento mal vissuti; e, dato loro venti soldi e un mazzo di sigari, si mandavano in frotta sulle vie più frequentate per eccitare il popolo a fumare, per commettere soprusi sui pacifici cittadini, e così dar campo a’ cagnotti di polizia di riempire con oneste persone i posti ch’essi avevano lasciati vuoti. Il Bolza — uom freddamente crudele, capace di tutto per servire un governo che l’avea fatto cavaliere e conte in grazia dei molti suoi meriti dal 21 in poi — non osando escire all’aperto per tema di milanesi vendette, o di qualche equivoco di soldati briachi, stava nel suo covaccio della polizia per ricevere i numerosi arrestati ed istiparne le carceri. Di aspetto severo, corpulento, dagli occhi di fiamma, parea un di que’ ragni velenosi, che, dopo aver teso le loro fila, stanno rannicchiati nel buco, pronti a saltar sulla preda.

Infrattanto, il maresciallo Radetzky smaniava e tentava persuadere il governo che con tre giorni di sangue e due di saccheggio irapegnavasi ridurre tranquilla Milano colle province pel periodo di quarant’anni. Il vice-re era colto da spavento grandissimo. La polizia che aveva cacciato nelle prigioni e in esiglio una quantità di cittadini; che aveva inutilmente perquisito ogni casa mediante i più frivoli