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insurrezione di fuori. Il disordine e l’ammutinamento guadagnavano il suo esercito.

La città imbaldanzita diventava sempre più inespugnabile e forte. Onde, divisi i soldati che gli rimanevano in tre colonne, si avviò verso Lodi colle artiglierie, co’ bagagli, co’ molti feriti, con più di trecento famiglie d’ufficiali, cogli sventurati suoi statichi, e cogl’impiegati stranieri .che ancora insultavano alla terra de’ lunghi patimenti e della combattuta libertà. Ma per celare la sua ritirata e per allontanare al possibile un attacco sanguinoso alle spalle, fece battere tutti i tamburi, tuonare tutte le sue artiglierie ed ardere gli edifici che trovavansi alla sua portata.

I cinque giorni delle cittadine battaglie erano costati allo esercito imperiale ben quattro mila morti. I quattrocento cannonieri si riducevano a cinque il dì della fuga. Noi non avemmo a lamentar molte perdite presso le barricate, ove si tentò far rinascere più glorioso e più grande lo amor della patria. Ma, ne patimmo assai gravi per le atrocità commesse dai soldati tedeschi, che ne’ punti interni più vicini alle porte della città, ne’ sobborghi e nel Castello commisero prove della più efferata barbarie. Intere famiglie derubate ed arse nelle loro case; bambini in fasce palleggiati e raccolti sulla punta delle baionette; donne ridotte brutti cadaveri e strettamente legate alla persona del vivo marito; altre oscenamente insultate nel corpo al cospetto de’ padri, degli sposi, de’ figli; prigionieri mutilati in barbaro modo, od acciecati, o massacrati. Nella seconda corte del Castello a destra fu rinvenuta una diligenza con un calesse, svaligiata la prima, l’altro bruciato; non lungi erano sette cadaveri d’uomini spogliati in parte e stranamente atteggiati; due gambe femminili, che dalla dilicata carnagione e dalla eleganza della calzatura dovevano aver appartenuto a persona agiata e distinta, annunziavano la morte di due giorni; nella diligenza era uno scialle coperto di fango e di sangue, ed in un fosso d’acqua corrente altre membra donnesche. In alcune cascine a due miglia della città, contadine dalle orecchie e dalle dita mozzate. La fierezza non mai satolla di strazi, disposatasi all’avarizia! I soldati italiani nel primo dì del combattimento, o trassero in aria, o rifiutaronsi di caricare i loro fratelli. Chiusi nel forte, vi stettero per quattro giorni senza cibo alcuno, e mezz’ora prima che il maresciallo sgomberasse da quel covaccio di fiere, stenuati e mal certi sui piedi, vennero cacciati di prigione e a poca distanza moschettati. Ho descritto orrori incredibili, pur veri!.... Il soldato, fatto feroce per la morte de’ suoi compagni, toglie per sua propria la causa cui serve, e a’ nemici palesasi allora aspro, crudele, disnaturato; ma, ei divien mostro orrendo, indomabile, quando i capi che il debbono frenare, lo scatenane invece a’ mali atti. Onde, abbominevol peccato di lesa—civiltà commisero i tristi che a’ loro inferiori ritolsero il freno della disciplina e pensatamente gl’imbestiarono.

Dopo tanta vittoria — che l’impeto e la necessità avevano operata — i Milanesi erano stanchi, rotti e spossati dalle fatiche de’ cinque giorni; gli era appena se potevano reggersi in piedi. Tutti coll’animo avrebbero voluto inseguir lo inimico, stringerlo a’ fianchi, distruggerlo. Ma, quantunque volle le forze lo