Pagina:La Natura.djvu/181

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libro terzo 181

     Perciò quando vedrai, ch’altri si sdegna
1113Di sè stesso, perchè dopo la morte
Abbia il suo corpo a imputridir sotterra,
O pasto esser del fuoco, o de le belve,
1116Sappi, che vero il suo parlar non suona,
E una spina secreta ha fitta in core,
Ben ch’egli stesso poi di creder nieghi,
1119Che senso oltre la morte aver si possa;
Poichè ciò che promette ei non mantiene,
A parer mio, nè a sradicarsi affatto
1122E allontanarsi da la vita ha forza;
Ma inconsapevolmente entro al pensiero
Una vita superstite a sè stessa
1125Foggiasi: e quando, vivo ancor, s’immagina,
Che il suo corpo sarà dopo la morte
Da le belve sbranato e dagli augelli,
1128Commisera a sè stesso, e mai del tutto
Dal gittato suo fral non si distacca,
Ma quel si finge, e fisso a lui dinanzi
1131Dei sentimenti suoi tutto l’impregna.
Sdegnasi quindi, che mortale ei nacque,
Nè si avvede, che, lui morto da vero,
1134Nessun altro sè stesso esister puote,
Che, vivo, pianga la sua propria morte,
E, stando in piè, si affligga e si tormenti
1137Del cadavere suo sbranato od arso.