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188 la natura

De’ beni de la vita esser mai paghi,
Questo, penso, che sia ciò che si narra
1302De le leggiadre e floride fanciulle,
Ch’entro a secchie forate attingon l’onda,
Nè però in guisa alcuna empir le ponno.
1305E Cerbero e le Furie e il cieco Tartaro,
Ch’erutta da le fauci orride arsure,
Che voglion dirne? In vero, essi non sono,
1308Nè ponno esser giammai; ma ne la vita
Ogni gran malfattor grande ha del pari
Il terror de la pena; ogni delitto
1311Paga il suo fio: v’è la prigion, l’orrendo
Salto giù da la rupe, evvi il flagello,
Le gemonie, i carnefici, la pece,
1314E le lame e le tede. Or ben che lungi
Dagli occhi nostri sien questi tormenti,
Pur, de’ misfatti suoi conscio il pensiero
1317Anzi tempo si affanna, e co ’l flagello
Del terror la colposa alma tormenta;
Nè posto un modo a’ mali suoi vedendo,
1320Nè de’ supplizj suoi qual sia la fine,
Pene più gravi al suo morir paventa.
Così l’inferno in sè portan gli stolti.
     1323Dir potrai qualche volta anche a te stesso:
«Il buon Anco, egli pur, che in molte cose,
Improbo, fu di te molto migliore,
1326Gli occhi pur chiuse a la dïurna luce.