Pagina:La Riviera di San Giulio Orta e Gozzano.djvu/27

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dai clamorosi latrati giunge al cacciatore colà posto in agguato, il quale d’un colpo di moschetto gli toglie nei corso la vita. Qui abbiamo pernici, coturnici, starue, acheggie e faggiani, che pasconsi nell’ estate di fragole, di more, di lamponi e di mirtilli1. L’uccellare ha le sue delizie coi lacci2 e con le reti, come dicono, a frascato, o paretaio, ovvero coi roccoli: il primo di questi che siasi visto fra noi fu piantato al fianco orientale del colle di S. Carlo di Miasino, forse dove trovasi ora quello dei Razzini: i meglio intesi e rinomati de’ nostri dì sono quelli nei boschi di Ameno e di Armeno, e sulle colline di Bolzano e di Auzate. Per le varie contese giuridiche alle quali si veniva a cagione del cacciare dai Riveresi coi Vergantesi3 il nostro Cotta aveva in

  1. Il Cotta lasciò scritto, essersi a’ suoi tempi veduti caprioli, daini, e qualche cervo avventiccio. Nulla di tutto ciò a’ nostri giorni. Ma le capre selvatiche, che egli dice non essersi qui fermate mai, furono vedute sopra Granarolo, ed una fu pochi anni sono colà uccisa dal Notaio Luigi Fara mio fratello.
  2. Dall’art. 15 della legge 16 luglio 1844 la caccia coi laccio o trabocchetti è proibita. Eppure sulle costiere e sulle vette delle montagne non vi ha quasi ramo di pianta, non palmo di terreno che non sia occupato da questi strumenti di distruzione. Da ciò il sensibile deperimento della più eletta selvaggina.
  3. Una ne avvenne nell’ottobre del 1860, quando trovandomi con altri cacciatori nei boschi di Brovello, e nella regione che chiamasi il Giuoco, forse per la moltiplicità delle strade che ivi si incrocicchiano, sentii latrare un cane, ed a tutta corsa avvicinarsi a noi, cacciando dinanzi un lepre. Per due volte passò per quella strada senza che appostato vi fosse un cacciatore o voce si sentisse ad animare il cane. La terza volta che il lepre muoveva per colà, portossi un mio compagno al varco, ed ucciso il lepre, se lo tolse con sè. Dopo alquanto tempo comparve il Giacomo Pozzi di Tapigliano, ed asserendo essere suo il cane, pretendeva gli fosse consegnato l’ucciso lepre. Il mio giudizio portava che gli si desse il lepre, perchè essendo questo inseguito dal cane, avea perduto la sua naturale libertà, ed apparteneva al suo padrone: gli altri sostenevano che la caccia era abbandonata, che il cane già da troppo tempo trovavasi solo sulla traccia, e che a lungo andare il lepre avrebbe fuggendo delusa la sagacia del cane. Il lepre non si volle consegnare.