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la capanna dello zio tom


        Tom, leggendo la Bibbia, avea imparato che l’uomo può esser contento in ogniqualsiasi condizione di vita. Questa dottrina gli parea utile, ragionevole, conforme a quella tranquilla rassegnazione che avea acquistata mercè la lettura di quel libro.

Il padroncino Giorgio, come abbiamo accennato nel capitolo precedente, rispose a Tom con una lettera a caratteri così chiari e maiuscoli, che avresti potuto leggerla da un capo all’altro della camera. Gli partecipava diverse notizie della famiglia, notizie di cui il lettore è già informato pienamente; soggiungeva come zia Cloe si fosse acconciata al servizio di un confettiere in Louisville, dove la sua scienza in pasticcerie dovea fruttarle ingenti somme di denaro; denaro che sarebbe messo in disparte per riscattar lui. Mosè e Pietro lavoravano di buona voglia; la bambina camminava per tutta la casa, sotto la sorveglianza di Sally e della famiglia in generale.

La capanna di Tom era chiusa provvisoriamente; ma Giorgio descriveva a lungo li abbellimenti, le aggiunte con cui verrebbe ingrandita al ritorno di lui.

Il rimanente della lettera raccontava a distesa gli studii scolastici di Giorgio, e la menzione di ciascun di essi era intestata da una stupenda lettera maiuscola; citava anche i nomi di quattro nuovi polledri che eran nati nelle scuderie dacchè Tom era partito; ed aggiungeva, subito dopo, che suo padre e sua madre stavano benissimo. Lo stile della lettera era terso e conciso quanto altro mai; ma Tom ne esagerò talmente il merito, che la era, a suo giudizio, il più bel saggio di composizione che fosse comparso nei tempi moderni. Non potea saziarsi di contemplarla, ed anzi chiese consiglio ad Eva, se non sarebbe il caso di farla incorniciare per sospenderla alla parete dalla sua camera; nè si rattenne dal mettere questa idea ad effetto che per la difficoltà di farne vedere amendue le facciate al tempo stesso.

L’amicizia tra Tom ed Eva andava crescendo, a misura che la fanciulla cresceva in età. È difficile il dire qual parte ella occupasse nel cuore affettuoso, sensitivo, di quel servo fedele. Egli l’amava come un essere fragile e terrestre, ma al tempo stesso l’adorava come qualche cosa di celeste e divino. Godea contemplarla con quel misto di tenerezza e di riverenza che prova il marinaio italiano nel vagheggiare un imagine di Gesù Bambino; compiacerla nelle graziose sue fantasie, in que’ mille semplici desiderii che cingono la fanciullezza, varii, mutabili come i colori dell’iride. Al mattino, sul mercato, i suoi occhi correano di banco in banco, sempre in cerca de’ più bei fiori per farlene un mazzetto; intascava la più bella pesca, il più bell’arancio, per regalarnela appena tornata a casa; nulla tanto desiderava, quanto veder di lontano quella bionda