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la capanna dello zio tom


è inferma e debole; sarebbe crudeltà di flagellarla; non ho mai fatto questo mestiere, nè comincierò adesso. Padrone, se volete ammazzarmi, ammazzatemi pure, ma quanto al costringermi a levar la mano contro alcuno; nol farò mai — morirò prima!»

Tom parlava con accento pacato; ma con una fermezza di cui non si potea dubitare. Legrée fremeva; i suoi occhi grigi scintillavano dalla collera; i peli delle sue basette si arricciavano; ma, a guisa di que’ feroci animali che scherzano colla vittima prima di divorarla, si rattenne dall’irrompere in atti violenti, e prese a motteggiarlo ironicamente.

— «Ecco il santone, che è piovuto alla fin fine tra noi peccatori! Oh deve essere qualche gran personaggio! Bestiaccia di un negro, che ti credi così religioso, non hai mai letto ciò che dice la Bibbia: «I servi debbono ubbidire ai loro padroni?» E non sono io il tuo padrone? Non ho sborsato mille duecento ducati per possedere quanto si racchiude in quella tua vecchia pellaccia? Non sei tu mio, corpo ed anima? rispondi.»

E così dicendo, menò a Tom un fiero calcio col suo rozzo scarpone.

Nei duri patimenti che soffriva, nella brutale oppressione in cui si trovava, questa domanda gettò un raggio di trionfo e di gioia nell’anima di Tom. Si drizzò improvvisamente in tutta l’altezza della persona; e guardando enfaticamente al cielo, mentre il sangue commisto a lacrime gli scorrea per la faccia, esclamava:

— «No, no, no; la mia anima non è vostra, padrone! Voi non l’avete comperata nè potrete comprarla mai; fu comprata, rigenerata da un tale che saprà rivendicarsela; non potrete opprimermi!»

— «Nol posso? — chiese Legrée infuriato; — or ora il vedremo. Qua, Sambo! Quimbo! date a questo cane una buona lezione che gli serva per un mese.»

I due negri giganteschi, che sorsero con una feroce esultanza ad impadronirsi di Tom, rappresentavano veramente le potestà delle tenebre. La donna tremò di paura, e tutti si levarono in piedi, mentre quelli strascinavan via il povero Tom, che non opponea resistenza.


CAPO XXXIV.


Storia della meticcia.


Era notte inoltrata; e Tom, rotto, sanguinoso, giacea solo in una stanzaccia disabitata di un magazzino, tra frammenti di macchine, mucchi di cotone avariato ed altri rimasugli d’ogni genere, gittati là alla rinfusa.