Pagina:La coltivazione degli olivi.djvu/33

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22 degli ulivi

540Età si volse, e il mondo era fanciullo
Che la spontanea terra a primi figli
Offria non culta il vitto, e correan latte
I fiumi, e mel stillavano le querce;
Nè sotto il raggio si moria del Sole
545L’adusto mietitore, e chino a terra
Non dirompea la gleba arsiccia e dura;
Nè il robusto villan del cittadino
Era vil servo, e per balzelli e censi
Dal rapace ladron vedeasi torre
550Il caro armento, e i lagrimati buoi.
Ma come cesse il buon Saturno al figlio
L’imperio delle cose, al mondo usciro
La solerte fatica, e l’ingegnosa
Inopia, ed al timor giunta la speme;
555Nè patì che torpente codardia
Possedesse il suo regno. Anelo i fianchi
Lungo i solchi l’aratro immane adduca
Il Bue; con esso al verno, e all’imminente
Sole il cultor l’opre divida; ingrato
560Non sarà che risponda a sue costanti
Vigili cure il suol, che si feconda
Dalle umane fatiche. Intanto a lui,
Gran mercede, il terren di sua man culto
Dolci al bisogno, ed al piacer ministra
565Odorati licori, e pingui ariste.