Pagina:La donna nel pensiero dei pedagogisti.djvu/23

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gura che fa capolino sul limitare del secolo XVI. Egli tuona e ringhia contro i dominatori stranieri, rampogna acerbamente gli italiani che seguono la moda francese, accanto alla lingua di Virgilio vuole quella di Dante, e dice risoluto a Bona Sforza: la donna ami la rocca e il fuso, ma più i libri, pur non isdegni di lavorar talvolta con le sue ancelle: fugga l’ozio ed i pettegolezzi, legga Virgilio, Cicerone, S. Agostino, abbia carattere virile per essere atta a comandare, sia virtuosa, giusta, modesta, clemente.

La vita italiana nel cinquecento ferve nelle corti e la donna colta, che ne forma l’ornamento gentile, attira più d’ogni altra l’attenzione degli scrittori del tempo. La vediamo nelle mirabili pagine del «Cortigiano». Baldassare Castiglione ne parla nel «Libro III» con quel fare spigliato e disinvolto comune agli uomini della sua età, che pare non dicano mai nulla sul serio, ne parlano i suoi personaggi scherzando e ridendo: riso smodato quello di Messer Gaspare, che denigra la donna, ironico quello dell’Unico Aretino, riso educato quello di Messer Cesare e del Signor Magnifico, che la difendono decantandone i pregi. E quest’ultimi, per avvalorare il loro dire con la forza dell’esempio, citano un numero grandissimo di donne celebri per virtù, per coraggio, per costanza d’amore per intelligenza; nella vita privata, nella pubblica, sui campi di battaglia. La scelgono sul trono, fra la