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— Ah! Notis, non è un cacciatore! esclamò Abd-el-Kerim. Te lo dico io.

— Hai delle idee strane, quest’oggi. Ti commuovi per due o tre fucilate!

— Abbiamo dinanzi a noi un mahari, Notis.

— Ebbene, e che vuol dir questo?

— Non sai... lo monta una donna, un uri...

— Chi? Chi?...

— È Fathma!

— Il mio amore! Vola, Abd-el-Kerim! Accorriamo!

La faccia dell’arabo si sconvolse trucemente a quelle esclamazioni, però non disse parola alcuna. Montò il remington e sferzò il cammello curvandosi in sella.

I due mahari partirono come il vento e salirono una collina che impediva di scorgere la sottostante pianura. Un quarto colpo di fucile ruppe il silenzio della notte e così vicino, da credere che colui che l’aveva esploso fosse appena a un cinquecento metri dalle alture.

Quasi subito s’udì un terribile grido:

— Aiuto!... Aiuto!...

— Ah! qual voce! esclamò Abd-el-Kerim. Corri Notis, corri!

Giunsero sulla cima della collina, e di là videro rovesciati in mezzo alla pianura un cammello e un uomo che si dibattevano disperatamente fra le sabbie, e a pochi passi da loro una donna, la quale mirava un gigantesco leone che volteggiavale vertiginosamente attorno con salti mostruosi.

— Notis!... È Fathma! gridò Abd-el-Kerim.

Con un salto da tigre si precipitò di sella, s’inginocchiò e puntò il remington. Il colpo partì. Il leone ferito alla testa fece un balzo di quindici piedi, gettando uno spaventevole ruggito.

S’arrestò colla criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso. Sfuggì alle moschettate di Notis e di Fathma e s’avventò contro l’arabo che aveva tratto l’jalagan.