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L’altro era uno scièk negro, tozzo, robusto, dal volto feroce, senza barba, con due occhi grandi e brillanti, naso assai schiacciato e labbra sporgenti. Portava un gran turbante sul capo, una rahàd (cintura) riboccante d’armi alle reni e ornata di spessi cordoncini, un paio di larghi calzoni alla turca e alle braccia numerose anella d’avorio e file di chàraz (perline di vetro).
— Dunque tu mi raccontavi? diceva lo scièk.
— Che egli è qui, rispose il beduino con accento straniero.
— Sei proprio sicuro?
— Sicurissimo, El-Mactud.
— Quando l’hai veduto?
— La decorsa notte passando dinanzi ad un tugul guardato da venticinque guerrieri. Al chiarore dei fuochi lo vidi sdraiato a terra col volto fra le mani.
— Puoi esserti ingannato, disse lo scièk.
— Ma no, non mi sono ingannato, te l’assicuro. Lo conosco troppo bene.
— Ma non militava sotto Hicks pascià?
— Quando lo lasciai era con Dhafar pascià, non posso quindi sapere se egli abbia raggiunto il generale inglese.
— A ogni modo non so capacitarmi come abbia abbandonata la sua bandiera per passare sotto quella di Ahmed.
— Ti narrai che egli amava una donna e che questa gli fu rapita.
— Ebbene?
— Forse spera di ritrovarla qui.
— Quale grado occupa? chiese lo scièk.
— L’ignoro come te. Sulla soglia della sua capanna ho veduto venticinque guerrieri, e so che ieri sera ebbe un colloquio con Ahmed Mohammed, poichè lo videro uscire dal tugul.
— Bisogna sapere qual grado gli fu conferito e se è amico di Ahmed.
— Lo sapremo, e per quanto potente egli qui sia, lo annienterò, lo farò cadere nella polvere! Basta