Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/201

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verosimile lettera a monsignor Salzano: "Monsignor don Vincenzo Lotti mi onorò de’ vostri saluti, e mi disse che mendacio sul mio conto in Piemonte erasi scritto. Ne sono oltremodo addolorato: è un vilipendio per me essere sulle labbra di chi si parla sbrigliatamente; e voglio che questa mia indignazione sia solenne. Nulla ho di comune con uomo senza verecondia. Sia pure a me da Voi compartito questo favore; la mia canizie invoca la verità che l’orni e la coroni, non il mendacio. E poteva per me darsi nel giugno e luglio 1856 un Sovrano più caro di Ferdinando II, anzi di vero amico? Sì, il mio Padrone e Re in quella mia avventura fece con me quel che il vero amico sappia fare. Sono, monsignor mio, commosso a tante nequizie impudenti colà in Piemonte„. Com’era da prevedere, il Salzano si servì di di questa lettera, pubblicandola trionfalmente nella confutazione ch’egli fece dello Scialoja, ma i maligni asserirono che la lettera l’avesse scritta egli stesso, e mandata a firmare al Caputo. Il Salzano n’era capace.


Dell’episcopato siciliano si è fatto un cenno a proposito di monsignor Regano, arcivescovo di Catania, acclamato, come si è detto, padre dei poveri. Di costumi purissimi, egli imponeva col suo esempio, più che col vigore della disciplina, vita austera e fratellanza cristiana. Non fu cardinale, perohè quando la chiesa catenese fa elevata a metropolitana, ed egli promosso arcivescovo, non fece registrare la bolla alla Datoria per non sottrarre ai miseri la ingente tassa Camerale. Aiutava non poche famiglie liberali colpite per ragioni politiche; e quando morì nel 1861 fu pubblico lutto nella diocesi. Unico cardinale dell’episcopato di Sicilia era l’arcivescovo di Messina, Villadicani, brav’omo, ma nullità assoluta. Il più dotto veniva ritenuto monsignor D’Acquisto, vescovo di Monreale, filosofo ed erudito; il più cospicuo per nobiltà di prosapia era monsignor Naselli, arcivescovo di Palermo, che non esercitò azione in nessun senso sino al 1860, e solo nel 1860, dopo la nota insurrezione, passò un brutto quarto d’ora col generale Cadorna, commissario civile e militare con pieni poteri. Il generale voleva conto della condotta serbata da lui, durante quella triste insurrezione, e serbata dal clero. Veramente se non fu provato che questo facesse causa co-