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l’ufficio di relatore della Corte marziale marittima. Rammento, tra gli ufficiali superiori, Scrugli, Vacca, Barone, Longo, Brocchetti, Anguissola e tra gli ufficiali più giovani, i fratelli Acton, Civita, D’Amico, Martini, Vitagliano, Persichetti, Accinni, Turi, Libetta, Lubrano, Cottrau, Romano, Palumbo, Sanfelice, Corsi e Serra, i quali entrarono tutti nella marina italiana.


Napoleone Scrugli, che divenne poi aiutante di campo di Vittorio Emanuele e senatore, era calabrese e comandava nel giugno del 1860 la pirofregata il Tasso, che si arenò alla foce del Tronto. Giovanni Vacca, che fu uno dei tre ammiragli di Lissa e il solo che avesse avuto una felice ispirazione in quella triste giornata, comandava il Valoroso, poi fu promosso e comandò il Monarca fino al 1860. Edoardo d’Amico, che fu prima capo dello stato maggiore della squadra di crociera, la quale non seppe impedire lo sbarco di Garibaldi a Marsala, e poi ebbe lo stesso ufficio col Persano a Lissa e passò con costui dal Re d’Italia sull’Affondatore, comandava la Maria Teresa, ed era stato incaricato, l’anno prima, di gettare il cavo telegrafico fra Otranto e Vallona. Carlo Longo, che nei nuovi tempi comandò il dipartimento marittimo di Genova, era commissario del re presso il tribunale di guerra e marina. Tutti e tre capitani di fregata. Equi è bene notare che allo sbandamento della marina nel 1860 contribuì, più di ogni altra cosa, una singolare leggerezza di carattere, nota caratteristica di quella ufficialità, così intelligente e vivace: leggerezza, che più tardi rivelarono alcuni di loro, saliti a posti politici eminenti: nè leggerezza di carattere soltanto, ma la coscienza della immobilità alla quale la marina era condannata, con un re che soffriva il mal di mare, e con un comandante supremo completamente disadatto al suo ufficio. Nei frequenti contatti con le marine degli altri Stati, e singolarmente della sarda, la marina napoletana aveva acquistato il sentimento della propria inferiorità e rodeva il freno, e nel 1860 lo spezzò ad un tratto, senza altre considerazioni. Dei viceammiragli nessuno passò nella marina italiana e il Lettieri, comandante della piccola squadra che accompagnò a Gaeta Francesco II e il Pasca che comandava la Partenope, tornarono alla vita privata dopo il 1860, senza rimpianto.

V’era nella marina napoletana una classe, che con denomi-